Bruno Fattizzo
Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia, Università degli Studi di Milano, Milano, Italy
Transfusion Medicine Network 2021; 1-3 (Pubblicato settembre 2022)
Bruno Fattizzo
Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia, Università degli Studi di Milano, Milano, Italy
Transfusion Medicine Network 2021; 1-3 (Pubblicato settembre 2022)
I farmaci inibitori di checkpoint agiscono riattivando i linfociti T a riconoscere le cellule neoplastiche. Sono efficaci in vari tipi di tumori, ma, proprio per il loro meccanismo d’azione, elicitando la risposta immune, possono scatenare eventi avversi autoimmuni/autoinfiammatori. L’anemia emolitica autoimmune (AEA), rappresenta una delle principali complicanze e può arrivare a mettere a rischio la vita del paziente. I casi di AEA post CPI finora descritti erano infatti gravi, richiedevano trasfusione fin nell’80% e si presentavano spesso negativi al test di Coombs. Ciò comportava un importante ritardo diagnostico e terapeutico con una mortalità che raggiungeva il 17% dei casi. La terapia consiste nella pronta sospensione del trattamento con CPI e l’inizio di una terapia immunosoppressiva, solitamente steroidea, seguita da rituximab nei casi refrattari/ricaduti. La possibilità di riprendere il CPI dopo il miglioramento/risoluzione della complicanza è ancora oggetto di studio.